E il limite, in quanto letterale con-fine, può considerarsi ancora dominio dello spazio che delimita, per cui il dire che gli è proprio “funziona” secondo la stessa logica che vige entro tale spazio, o segue una logica altra? Sul e nel limite non accade forse il gioco altro dell’analogia e/o dell’equivocazione originaria, nel quale ognuno si trova “gettato” da un tempo immemorabile, e che si fa comprensibile solo alla luce di un pensiero (ana-logico) dell’origine, che risale e supera, congedandolo, il pensiero (puramente logico) del “principio”? E in tale gioco dell’analogia non risiede forse l’origine (equivoca) del soggetto, in cui questi viene linguisticamente messo (e rimesso) al mondo (e il mondo rimesso a lui)? Ma se così il religioso è innestato nell’etico e si lascia comprendere adeguatamente soltanto all’interno di quest’ultimo – e se l’etica, quale filosofia anteriore, denota ancor sempre l’esperienza-limite dell’origine – nel dire Dio non è sancita l’anteriorità del vocativo rispetto al nominativo? In continuità con il precedente La parola e l’ineffabile, questo libro prosegue il viaggio di scoperta nel pensiero di Wittgenstein, rintracciandovi, anche nella seconda fase, un “doppio risalimento” verso l’originario, il cui esito mostrerà che a “significare l’indicibile” non potrà che essere, infine, la vita stessa, il ‘luogo’ in cui l’origine (altrimenti inesprimibile) prende corpo. E si narra.
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